Significato e conseguenze del Bail in: soluzione anticrisi o paracadute per banche e stato?

Con il ‘bail in’ si apre realmente la strada al paventato ‘prelievo forzoso’ già impiegato in altri paesi europei? Chi realmente rischia e quali saranno le condizioni di applicazione della norma?

Spread e bail out sono diventati i due termini simbolo della crisi del primo decennio, con il quale nel bene e nel male ci si è ritrovati costretti a prendere una certa familiarità, che però non è mai arrivata ad un punto di compiutezza.

Ma a partire dal 1 gennaio 2016, il termine bancario con il quale bisognerà acquisire una certa conoscenza, e in tempi anche brevi, è quello del bail in (che in economia ha il significato di garanzie di tipo esterno). Molti lo definiscono semplicemente “prelievo forzoso” e lo assimilano a quello effettuato da Amato nel lontano 1992, ma ci sono delle differenze notevoli, anche se gli effetti, per molti, saranno pressoché identici.

Infatti si passa da un provvedimento una tantum dettato da un’esigenza temporanea, ad una legge che crea un modus che funzionerà in modo automatico.

E’ o non è un prelievo “forzoso” dei propri risparmi?

Una definizione di questo tipo è troppo semplicistica. Infatti all’interno del gruppo dei “risparmiatori” ci sono quelli che verranno esentati dal prelievo, e ci sono anche delle soglie oltre le quali la “banca” (perché si tratta di un’operazione che parte e si conclude a livello “privato”) non potrà spingersi.

Ciò non toglie che saranno moltissimi i correntisti che dovranno pagare le cattive gestioni, o le cattive scelte di investimento, nel caso in cui la banca si dovesse trovare sull’orlo del fallimento.

A riguardo va chiarito che la banca in questione dovrebbe essere “a rischio” e non giungere allo stato di fallimento vero e proprio. Infatti il Bail in serve per scongiurare che si arrivi al passo successivo, che coinvolgerebbe comunque lo Stato, fino ad ora (o per lo meno prima dell’entrata in vigore della direttiva europea che costringe anche l’Italia ad un adeguamento) chiamato immediatamente in causa per appianare la situazione.

Alternativa al fallimento assistito?

Quello che è diventato ormai evidente, è che nei Paesi dove i governi hanno lasciato fallire le banche, che pagavano lo scotto di folli scelte di investimento, si è riuscito a migliorare la situazione economica in tempi molto più brevi rispetto a chi non l’ha fatto, e da qui la decisione degli Stati membri Ue di introdurre un sistema istituzionalizzato di “fallimento” controllato, senza far ricadere il peso della situazione, dal punto di vista economico, ma anche decisionale ai vari governi.

Il tutto avverrà in modo automatico: la banca a rischio dovrà prelevare i fondi di cui ha bisogno sui conti dei correntisti, a partire dagli azionisti, salvando pochissime situazioni, tra le quali i risparmi fino a 100 mila euro. Se ciò non bastasse dovrà intervenire lo Stato, che andrà incontro a limitazioni abbastanza stringenti (vedi anche Investimenti anti-inflazione).

Insomma i privati rischieranno, tutto sommato, di pagare due volte, un prezzo che però graverà solo sui correntisti della banca in crisi, puniti per la “cattiva” scelta dell’istituto al quale affidare le proprie sostanze.